UN AVVOCATO IN MISSIONE |
È Laila Simoncelli una giovane procuratrice che ha scelto di vivere coi poveri |
Questa è una intervista diversa rispetto a quelle apparse finora sul Foro. é la storia di Laila Simoncelli, procuratore legale dal 1996 nello studio Cavallari, Fonti e Giusti la quale scopre che la sua vera vocazione non è quella di avvocato ma quella di missionaria consacrata. Così, proprio nel novembre di quell’anno, va in India per la sua prima missione. Non si tratta di una decisione “lampo”, poiché il cammino spirituale di Laila Simoncelli inizia anni prima (vive in casa famiglia già dai tempi dell’università) e nel ’95 si consacra come “laica nel mondo” all’interno dell’associazione Papa Giovanni XXIII prendendo i voti di castità, povertà e obbedienza. I perché di queste scelte li abbiamo chiesti a lei.”Ho fatto queste scelte perché ho letto il Vangelo ed ho cercato di viverlo. Io non vengo da una famiglia di tradizione, diciamo, “parrocchiale”. Ma i valori della solidarietà e della giustizia mi sono stati trasmessi. Ho voluto accostarmi al Vangelo per capire se questi valori li potevo rafforzare e la lettura mi ha portato a fare delle scelte: la vita in casa famiglia, ad esempio. Abitavo nelle case della comunità Papa Giovanni XXIII e nel contempo studiavo. Così mi sono laureata e ho dato l’esame da procuratore”.
Andare in casa famiglia significa condividere la vita, spesso problematica, di chi si trova lì. “Questo faceva e fa parte del mio modo di vivere. Ho vissuto, tra l’altro, in una casa che fungeva da pronto soccorso per bambini con problemi familiari a Cattolica ed in un’altra per malati psichici gravi a Verucchio. Occuparmi degli “ultimi” è una cosa che mi è venuta naturale anche nella professione. Per me è stato facile curare e studiare a fondo i problemi dei nomadi, degli handicappati, degli extracomunitari, dei tossicodipendenti. In realtà, quando mi sono iscritta a Giurisprudenza, non volevo fare l’avvocato: volevo solo mettermi al servizio dei più poveri. Ciò ha comportato che volontariamente abbia scelto, numerose volte, di difendere d’ufficio tutte quelle persone che non si potevano permettere un avvocato. Ha comportato che passassi dei fine settimana nei campi nomadi a mangiare e dormire con loro. Insomma, vedevo il mio lavoro come una missione: volevo far capire che Gesù ama soprattutto chi è povero. E se ho potuto esercitare in questo modo, lo devo agli avvocati dello studio in cui lavoravo: Stefano Cavallari, Primo Fonti e Donatella Giusti. Loro mi hanno trasmesso valori professionali importanti per il cammino spirituale che stavo percorrendo”. Lei ha detto che vedeva il lavoro come una missione. Perché allora andare in una missione vera e propria? “Quella della missione è la mia strada, la mia chiamata personale. é il modo a me più consono per annunciare, come dicevo, che Cristo vuole bene a tutti, soprattutto ai più poveri. E i poveri non vogliono pietà o seminari sulle loro condizioni. Ti chiedono, più semplicemente, di vivere con loro”. La sua prima missione è stata a Kerala, nel sud dell’India e tra poco partirà per Tringa in Tanzania. Cosa ha trovato e cosa si aspetta di trovare? “In India vivevo in una casa di pronta accoglienza della Papa Giovanni XXIII: ci occupavamo dei barboni, dei derelitti, dei casi umani più disperati. Abbiamo “adottato” quaranta famiglie. Ma abbiamo anche avviato dei progetti come cooperative di pescatori e cooperative manifatturiere che pian piano si stanno rendendo economicamente indipendenti. In Tanzania abiterò in una struttura di pronta accoglienza per bambini. Mi ci fermerò due anni. Troverò situazioni di disagio molto forti, come a Kerala del resto”. Non le manca la professione, fatta alla sua maniera? “No, la mia chiamata è un’altra: quella della condivisione. Ma, le dirò che l’avvocatura intesa con spirito cristiano sarebbe una punta avanzata della missionarietà”. Flavio Semprini Dal sito dell’Ordine degli Avvocati di Rimini |