Quale giustizia oggi: un approccio cristiano

23 Nov 2009 | 1999-2003

Incontro del 18.11.03 c/o Cassa Nazionale Forense – Relatore: Card. Ersilio Tonini

 

Quale giustizia oggi: un approccio cristiano.

 

Esordisco con una considerazione sull’epoca che stiamo vivendo: i nostri sono tempi difficili, ma anche tempi di rinnovamento.

Il momento storico che stiamo vivendo è di tale intensità, di tale eccezionalità che anche solo ad accostarcisi si avverte una specie di vertigine. Non sono certo parole da oratore queste, ma penso che tutti voi abbiate avvertito l’insufficienza, l’inadeguatezza di tutto ciò che abbiamo imparato, sia in ambito storico sia in relazione alle regole che ci hanno insegnato.

In questo contesto, la prima parola, il primo concetto che entra in crisi è quello di Giustizia, ma non tanto perché questa si ritrovi sommersa dalle iniquità, quanto piuttosto perché il suo ambito è oggi un’altra cosa: sta comparendo un altro genus.  È questa straordinarietà del presente che preoccupa, specialmente noi pastori.

Ma non voglio iniziare questa nostra riflessione gettandovi nello sconforto, perché, per fortuna, nasce un tempo nuovo, un mondo nuovo. La cosa è abbastanza semplice e la prima a risentirne è la società. Tutto ciò è, invero, apparso così evidente che, dopo cinque secoli di una Europa fatta di Stati e Nazioni, ci si è, finalmente, accorti che proprio Stati e Nazioni hanno rappresentato una sciagura per il mondo, nonostante le grandi conquiste.

Quando noi pensiamo che in questi ultimi secoli non c’è stato un periodo di pace, non possiamo non riconoscere che questo è stato un tempo di sciagura; se pensiamo che, non oltre 50 anni fa, abbiamo visto camini fumare di carne umana, non possiamo non riconoscere che questo è stato un periodo di sciagura. Tuttavia, ne stiamo uscendo!

Ed ecco il grande tema di oggi, la novità assoluta, la novità europea e, nel contempo, le difficoltà connesse alla realizzazione di questa nuova realtà. Se ci si accosta alla Carta Costituzionale della nascente Europa si avverte la freddezza che la caratterizza e, quasi, un senso di paura nell’individuare e dettare i valori comuni ai quali conformarsi. Nulla a che vedere con il fervore con cui inizia la Costituzione della Germania post bellica: “Noi siamo perfettamente consapevoli della nostra responsabilità di fronte a Dio e alla storia del futuro. Noi abbiamo deciso di presentare questi valori alla Nazione. La dignità della persona umana è intangibile ed il popolo tedesco in questo si riconosce”  … Partendo da qui, via via, la nuova Germania grida al mondo intero la grande lezione imparata negli anni bui della sua storia. Purtroppo non troviamo altrettanta forza nel testo della Carta Costituzionale europea e, del resto, è lavoro arduo riuscire a trovare un comune denominatore tra tante Nazioni aventi valori spesso così diversi.

Ma, ancora una volta, tenete presente che queste parole non vogliono essere fonte di scoraggiamento; tutt’altro, esse vogliono solo ricordare a ciascuno di noi le difficoltà presenti e l’impegno che ciascuno di noi deve mettere per poter superare i vari ostacoli.

Parlandovi di ciò non posso fare a meno di ricordare le parole di una grande donna,  la quale, innamorata di Cristo, diceva: “Perché è un bene che ci sia anch’io e non soltanto Dio”. La domanda è fondamentale.

Mia madre l’aveva intuito e mi diceva: “Preparati, ragazzo, perché Dio ha del bene da farti fare”.

Ecco perché ci sono anch’io, perché Dio ha del bene da farmi fare.

Ed è in forza di questa verità, di questa intuizione che aveva cominciato a pensare ad un’Europa unita. È fuori di dubbio che, di fronte ad una realtà di questo genere, nessun tipo di patriottismo – o di pseudo-patriottismo – possa continuare a sussistere.

Permettetemi, a questo proposito, di condividere con voi una mia riflessione sul recente tragico avvenimento che ha colpito le nostre forze armate in Iraq.

Il sentir dire che l’Italia meriterà un po’ più rispetto dopo la morte di queste creature, per me, è una sciagura, è un errore immenso. In questo contesto di profondo dolore si pensa alle commesse.

Il Times di ieri riferiva che negli Stati Uniti si è già provveduto ad assegnare le commesse e che la Gran Bretagna lamenta il mancato pieno riconoscimento dell’apporto dato in tempo di guerra. Capite bene che queste sono misure che non contano più, che stridono: la morte è così pura al punto che le nostre parole sono inadeguate.

E non si tratta solo di questo! Pensate a come siamo sempre più vicini, a come i popoli si stiano fondendo tra loro, a  come le razze e le storie si stiano  fondendo. Pensate ad  Israele ed alla Palestina: sono un’unica realtà, non se ne esce! Quale regola, allora, quale giustizia? Perché, alla fine, la Giustizia è “vedere se c’è spazio per ogni uomo nel mondo, spazio per il suo sviluppo, spazio perché la sua vita nel mondo abbia una ragione d’essere”!

E se poi pensiamo all’altro grande problema, quello dei mercati, della distinzione tra continenti in ragione della forza dei mercati, non possiamo non  vedere che tra breve l’Africa sarà svuotata. Questo continente è destinato a scomparire, ma con esso trascinerà anche l’Europa; questi due continenti sono destinati a sprofondare insieme perché sono due continenti gemelli.

Ed allora, quale giustizia? Quando arriveremo a dare giustizia?

Tutto questo per dire che i problemi sono immensi, che le visuali, gli spazi sono immensi.

I primi a sentire l’inadeguatezza della giustizia sono proprio coloro che operano nella giustizia.

E’ così evidente che il concetto del diritto, del ius conditum, salta anch’esso, se ne avverte subito l’inadeguatezza visto che il diritto altro non è che res ad alium, come ci ricorda San Tommaso.

Il diritto è qualcosa che sia individuabile, che sia difendibile anche dalla forza. Allora è chiaro che il diritto può salvaguardare i mezzi con i quali si vive, ma non certo i valori più profondi, più intimi: a cominciare dalla dichiarazione della dignità della persona umana, dalla tenerezza, dalla pazienza nel soffrire insieme, dal perdono …

Vi interrogherete sul perché affrontare queste tematiche. La risposta risiede nel fatto che noi stiamo affrontando la fase più profetica che ci sia mai stata nella storia umana.

La fase profetica, la fase vocazionale, affidata a questa generazione perché realizzi il nuovo progetto del mondo di domani.

Ma abbiamo realmente a disposizione un progetto? Io dico di sì!

Infatti, noi oggi ci rendiamo conto di essere costretti a riscoprire il nucleo fondamentale, l’origine da cui tutto parte. Cito, a tal proposito un testo intitolato: “Ce la faremo a vivere insieme?” Io dico di sì!

Il passato sarà sempre un tesoro!

Secoli e secoli di storia ci conducono a riconoscere che il centro di tutto è l’Io, il Singolo; nel Singolo c’è già tutto l’essere umano, la vita del Singolo risente di tutto quanto accade nel vastissimo mondo.

Qual è, dunque, il concetto di Singolo che è giunto sino a noi?

Il pensiero greco, che ci ha regalato la disciplina del pensiero, si è interrogato su che cosa ci distingua dal resto del mondo ed ha così individuato un’umanità nell’umanità, ha ricondotto tutto all’interno dell’uomo, lasciandoci una immensa ricchezza, non esente, tuttavia, da un unico grande difetto: tutto ciò è valido solo per i “nati bene”.

Rispetto ad allora, che cosa è accaduto? Ci è stata data la Buona Notizia! Il mondo intero, tutto l’universo sta a testimoniare che nell’uomo c’è la sua propria destinazione: l’uomo è il destinatario dell’universo, l’uomo è il capolavoro di Dio! E qui incomincia il nostro cammino.

È chiaro che soltanto questa profezia è in grado di aiutarci a fronteggiare il problema della ricostruzione della storia di domani. I mezzi tentati sinora non costruiscono: basti pensare alla violenza, alla guerra, al mercato. Queste realtà non creano pace, non consentono all’uomo di sapersi al mondo come un bene, di essere sereno, di sentirsi necessario al mondo.

È per questo che il Papa ha gridato: “Abbiate cura di Cristo, date spazio a Cristo!” Egli non si interpone fra noi, fra noi e la comunità umana, ma ci offre il Suo aiuto per farci diventare i collaboratori della Giustizia di Dio.

Questo è il tema della vocazione!

Amo prendere spunto dalle Sacre Scritture.

Nel testo della Genesi noi vediamo che Dio fa festa dopo aver creato l’uomo, colui al quale affidare l’intero universo. E, difatti, durante tutta la creazione Dio dice che quel che ha fatto è cosa buona, ma dopo aver creato l’uomo dice che quel che ha fatto è cosa molto buona, ed è per questo che, nel settimo giorno, si riposa e fa festa. Ma l’aspetto più bello di questo fare festa di Dio è che Egli invita l’uomo a fare festa insieme a Lui: l’uomo fa festa con Dio per la propria creazione!

Questo è il tema della creazione, e si sposa con quello della vocazione perché da qui comincia il nostro cammino, che deve essere improntato alla accoglienza: dobbiamo accogliere, ciascuno di noi deve accogliere, questa chiamata, ciascuno di noi deve rendersi disponibile ad accogliere i beni che il Signore ci vuole dare.

Ma c’è dell’altro: non solo il Signore ha creato ciascuno di noi per affidargli i Suoi beni, ma Egli pensava a noi ancora prima di crearci! Soffermatevi, per un attimo, a pensare a cosa proviamo noi esseri umani quando diventiamo genitori: per ogni creatura che nasce abbiamo occhi pieni di stupore perché nessuna nascita, nessun figlio è uguale all’altro, ma ciascuno è unico, ciascuno è un dono irripetibile!

Non è un caso che Gesù, interrogato su come dovessimo pregare, abbia pronunciato le parole: “Quando pregate dite: Padre!”.

Capite! Quello che spesso manca nelle nostre vite è lo stupore, la capacità di stupirci di fronte a noi stessi e agli altri nel riconoscerci creature uniche, amate da Dio prima ancora della creazione.

Ebbene, questo è che il punto di partenza, da qui possiamo risalire al significato vero di Giustizia: la Giustizia è nello stupore di capire che siamo grandi e piccoli, perché da qui comincia la valorizzazione di noi stessi, che comporta il prenderci cura di noi stessi, il sentirci responsabili di  noi stessi, ossia di questo bene che il Signore ha voluto creare ed al quale ha voluto affidare l’universo.

Cosa accade, dunque. Accade che Dio ci concede di guardare a noi stessi con i suoi occhi, che sono occhi di amore, di misericordia, di pazienza, benigni, indulgenti.

Se teniamo presente quanto appena detto, possiamo comprendere perché all’inizio di questa nostra conversazione parlassi di tempi profetici.

Oggi, noi che ci professiamo cristiani siamo invitati a fare qualcosa di più, qualcosa che vada oltre l’impegno nella nostra professione, perché questo, da solo, non basta, non può rispondere a tutte le esigenze della nostra vita e meno che mai a quelle più intime.

Ciò che può aiutarci è la riscoperta dell’adorazione, dell’adorazione della maestà di Dio dentro di noi.

Voglio ricordarvi le parole di S. Agostino: “Loda il Signore in te stesso!”. Dobbiamo imparare a lodare il Signore in noi stessi e per noi stessi, dobbiamo imparare ad incoraggiarci, a dare fiducia a noi stessi.

Insisto sul tema della creazione perché constato che oggi noi abbiamo occhi stanchi, mentre se potessimo guardarci con gli occhi di Dio, saremmo senz’altro capaci di grandi cose.

Il secondo aspetto sul quale dobbiamo soffermarci è che noi siamo affidatari non solo di  noi stessi ma anche degli altri.

Dio ci concede il dono della Caritas, ossia il dono di poter guardare i Suoi figli con i Suoi occhi.

Se, dunque, guardiamo a noi stessi ed ai nostri fratelli con lo sguardo di Dio – mantenendo la consapevolezza della nostra grandezza ma anche della nostra miseria, dei nostri limiti, della nostra piccolezza – i rapporti con gli altri possono subire una radicale trasformazione.

In questo si concretizza il terzo aspetto sul quale dobbiamo riflettere. Dopo secoli di divisioni, di odio, di guerra, questo nostro tempo è il tempo del ricongiungimento, è il tempo nel quale, anche grazie ai nuovi mezzi, i lontani diventano i vicini ed allora nei loro confronti noi abbiamo un obbligo, quello della testimonianza dell’amore di Dio.

Certo è che per amare qualcuno spesso così profondamente diverso da noi non è sufficiente la buona volontà, ma è necessario fare appello allo Spirito Santo, affinché guidi i nostri passi.

Se poi vogliamo avere un’idea di quel che Dio desidera sia il nostro comportamento nei confronti dei nostri simili, dobbiamo attingere alle Sacre Scritture.

Cito un brano del Libro della Sapienza, 11, 21-26 e 12,1. “Tu potresti sempre importi con la forza e nessuno saprebbe resisterti. Tutto il mondo davanti a Te è niente, è come una manciata di farina che fa appena inclinare un piatto della bilancia, è come una goccia di rugiada che al mattino si posa sulla terra.

Tu hai compassione di tutti, perché puoi tutto. Tu chiudi un occhio sulle colpe degli uomini perché vuoi che cambino vita. Tu ami tutte le cose esistenti e niente di ciò che hai fatto Ti dispiace. Perché tutto è frutto del Tuo amore.

Una cosa come potrebbe esistere, se Tu non la vuoi? Come potrebbe continuare ad esserci se Tu, dopo averla chiamata, non la tieni invita? Sì, Tu hai compassione di tutte le cose, perché tutte sono Tue e il Tuo soffio le avvolge e le penetra, o Signore che ami la vita”.

Il Signore ci ama ed ha compassione di noi.

Quando mi trovo nel confessionale ho grande difficoltà a far capire alle persone che Dio perdona, che Egli è misericordioso. Siamo, purtroppo, portati a ricordare solo alcune pagine del Vangelo, vere senz’altro, ma non scorporabili dal contesto nel quale sono inserite. Siamo portati a credere che il nostro rapporto con Dio si esaurisca in una sorta di do ut des, agiamo per avere una ricompensa, come in un rapporto contrattuale.

Ma così non è: Dio ci ama, e non solo se e quando siamo “meritevoli”; il Suo amore è un dono gratuito che esula da ogni nostra iniziativa!

Pongo alla vostra attenzione un altro brano, tratto da Isaia, 49, 13-16. “Cielo, grida di gioia! Terra, rallegrati! Montagne, giubilate!

Il Signore conforta il Suo popolo ed ha misericordia per quelli che hanno sofferto. Il popolo di Gerusalemme diceva: “Dio mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Ma il Signore ha risposto: “Può una donna dimenticare il suo bambino o non amare più il piccolo che ha concepito?

Anche se ci fosse una tale donna, Io non ti dimenticherò mai. Ho disegnato sulle palme delle Mie mani la tua immagine, ho negli occhi la visione delle tue mura”.

È un’immagine estremamente ardita: io sono disegnato sulle palme delle mani di Dio! Eppure, credetemi, ci sono persone che riescono a percepire tutto ciò, vivendo, così, in profonda serenità.

Penso a mia madre, morta a cinquantadue anni, serena in quel momento di separazione, in pace profonda, perché sicura, perché forte della speranza in Dio.

Ma c’è dell’altro. Io sono stato creato perché Dio ha bisogno di me, Egli ha delle aspettative su di me, Egli spera in me.

Ed allora cosa fare? Innanzitutto, prendermi cura di me stesso, guardarmi con lo sguardo amorevole di Dio e lasciare a Lui la possibilità di operare in me, consentendoGli di infondere in me la Sua Grazia.

Se permetterò a Dio di comunicarmi il Suo amore avrò in me l’impeto di amare me stesso ed i miei fratelli, sarà Egli che opererà direttamente in me e tramite me. I veri profeti di oggi non siamo noi pastori, ma le mamme ed i papà, le maestre, tutti coloro che si occupano con amore di chi ha bisogno, lasciando a Dio la libertà di operare nelle loro vite.

Torna utile ricordare le parole di S. Paolo ai Corinzi (I, 3, 18-23) in merito a ciò che è follia per l’uomo e ciò che è follia per Dio: il Signore ha capovolto ogni criterio umano relativo alla sapienza e, tramite Paolo, ci ricorda che tutto è nostro e che noi, invece, apparteniamo a Cristo e Cristo a Dio!

Vi voglio lasciare un brano a cui fare riferimento nei momenti di sconforto. Quando vi sentite abbattuti e scoraggiati, rileggetevi il capitolo 17 di S. Giovanni, nel quale sono riferite le parole che Gesù rivolge agli apostoli, lasciando loro il proprio testamento spirituale.

Noi siamo stati pensati per l’amore e, questo, non può lasciarci indifferenti, ma deve ribaltare il nostro modo di pensare e di vivere, inducendoci a fare nostra la Giustizia di Dio!

Dobbiamo comprendere che il metro di ogni cosa è l’amore e che su questo saremo giudicati: sull’amore che saremo riusciti a donare, forti della Sua Grazia.