Mi chiamo Alberto e sono un avvocato 35enne del Foro di Teramo. Ho
visitato il sito per curiosità e sono rimasto colpito dall’entusiasmo che traspare da alcune appassionate testimonianze, nonché dalla fermezza di alcune posizioni espresse dalla Chiesa e ricordate qua e la nelle varie rubriche a proposito dell’etica cristiana nella professione forense, specie con riguardo alle tematiche che da sempre sono percepite come “scottanti”, quali separazioni e divorzi. Sono cattolico e sin da quando ho mosso i primi passi nella
professione (sono avvocato dal 2007) ho riscontrato la difficoltà di conciliare ideali di letizia evangelica e concordia con il clima rissoso ed avvelenato che aleggia negli ambienti giudiziari. Ho cercato di farmene una ragione ma non sempre ci sono riuscito. Senza alcuna vena polemica, ma mosso dal sincero intento di potermi confrontare con qualche collega, noto che spesso anche una semplice domanda di risarcimento danni o un’azione di restituzione può rivelarsi pregna di risvolti morali a prima vista insospettabili. Cosa dire del professionista che in ambito civilistico si trova a valutare quotidianamente le posizioni dei propri assistiti non solo sulla base delle ragioni di diritto sostanziale ma sempre con un occhio al regime delle prove, consapevole che talvolta saprà ottenere risultati favorevoli per il proprio cliente non tanto perché questi ha veramente ragione ma solo perché intuisce che la controparte non è nella condizione di fornire la dimostrazione delle proprie sacrosante ragioni?
E poi che dire dei penalisti? A chi non è capitato, dovendo difendere un cliente accusato (magari giustamente) di un reato anche banale, di dover giocare sulle incertezze evocative dei testi a carico, adoperando lo strumento delle contestazioni al fine di metterne in dubbio la credibilità e così far crollare l’impianto accusatorio? Non è forse questo ciò che fa (e deve fare) un avvocato? Non credo si possa svolgere il nostro mestiere senza fare i conti con
la “fisiologia” della disputa tra i contendenti, che presuppone la volontà di primeggiare annichilendo le ragioni dell’altro. Dal punto di vista dell’avvocato “portatore” di scrupoli di coscienza, quanto appena detto, se da un lato implica una capacità di fare un uso sapiente e scaltro degli strumenti giuridici messi a disposizione dall’ordinamento, dall’altro colloca irrimediabilmente il professionista in uno stato di sofferenza morale. Il fatto è che l’avvocato presta la propria opera inserendosi nelle vicende tra uomini e queste recano sempre al loro interno, in varia misura, un certo tasso di contraddittorietà e di polemica. Mi convinco sempre più che non esiste un ambito di specializzazione eticamente “neutro”, uno spazio in cui l’avvocato possa rintanarsi nella certezza d’essersi posto finalmente al riparo, una volta per tutte, da questioni di coscienza.