DR. FRATINI ( M.A.E.C.I.)
Eccellenze, onorevoli Senatori, Signore e signori sono onorato di contribuire a questa discussione promossa dall’Associazione “Avvocatura in missione” su un tema mai così attuale come quello della mediazione per la pace.
Lo faccio dalla prospettiva della Farnesina dove ricopro il ruolo di coordinatore per le attività di formazione alla mediazione oltre che per le connesse Agende delle Nazioni Unite su “Donne pace e sicurezza e “Giovani pace e sicurezza”, agende che già dal loro nome evocano il grave impatto dei conflitti armati hanno su donne e giovani.
Come è stato descritto direi in maniera magistrale dal filmato che avete appena visto, negli ultimi anni il sistema internazionale sta registrando una crescita del numero di conflitti armati a livello mondiale. Una nuova crisi dell’assetto di sicurezza post Guerra fredda e l’inasprirsi di tensioni politiche sia all’interno degli Stati che tra di essi, nonché un diffuso riaffermarsi di tensione politica sia all’interno in termini di razzismo ed estremismo ma anche in Paesi dalle forti tradizioni democratiche ed inclusive; se vogliamo aggiungerci la crisi climatica che acuisce tensione e conflitti in diverse parti del mondo e la profonda trasformazione dell’economia mondiale – che di per sé ha il potenziale per esacerbare ulteriormente situazioni polarizzate e rivalità politiche – abbiamo un quadro che, oserei definire, molto preoccupante.
In questa nuova fase di incertezza globale ritengo – e non solo io per fortuna – fondamentale rafforzare la mediazione internazionale di pace e, più in generale, il repertorio di strumenti a nostra disposizione per prevenire e gestire i conflitti internazionali; questo ci consentirebbe di essere in grado di contribuire in modo più solido e strutturato agli sforzi posti in essere anche attraverso meccanismi di dialogo multilaterali internazionale, le stesse Nazioni Unite ma anche tutte le altre organizzazioni regionali che si occupano di pace e di sicurezza.
Paesi come la Svizzera e la Norvegia – per non parlare della Santa Sede – ormai sono, grazie al loro impegno pluridecennale, riconosciuti come Paesi guida nel campo della mediazione di conflitti e del peace building: l’impegno costante nel tempo li rende attori credibili nell’area della mediazione internazionale.
Ci sono poi altri Paesi sempre in Europa, come ad esempio la Germania e la Finlandia, che stanno emergendo sempre di più come interlocutori rispettati in questo settore.
In tutti i Paesi che ho citato e anche in altri esistono istituzioni autonome e comunità di esperti della società civile che da anni si occupano del tema dando profondità all’azione dei governi, rafforzando la stessa: credo che proprio la collaborazione tra istituzione pubblica e organismi non governativi sia stata un fattore decisivo per l’affermarsi del ruolo internazionale di questi Paesi nell’arena di pace.
Più recentemente poi vi sono attori dalla diversa collocazione geopolitica che vedono nella mediazione dei conflitti un’opportunità per accrescere la propria influenza regionale o globale: è il caso della Turchia (si pensi all’intesa sul grano raggiunta nel 2022 tra Ucraina e Russia) ma anche del Sudafrica e, ancora più di recente, del Qatar: con questi attori emergenti i mediatori tradizionali che ho citato prima stanno sempre più dialogando con l’obiettivo di esplorare strade meno battute.
A questo punto vengo al nocciolo di quello che vorrei dirvi oggi, cioè dove si colloca l’Italia. L’italia intanto si trova in una posizione geopolitica che la rende un ponte naturale fra nord e sud e, se vogliamo, anche fra est ovest: la nostra penisola possiede da sempre per evidenti ragioni storiche e culturali l’abilità di comunicare con tutti i diversi attori nei conflitti internazionali; esiste, inoltre, una rete di professionisti italiani altamente qualificati nel settore del peace building, della prevenzione dei conflitti e della mediazione: basti pensare in quest’aula alla Comunità di Sant’Egidio ma anche alla meritoria opera di promozione del dialogo svolta dalle nostre Forze armate nel quadro delle missioni internazionali di pace o – ma è un elenco certamente un elenco non esaustivo – al lavoro delle tante O.N.G. impegnate in territori di conflitto.
Il Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale già promuove e sostiene importanti iniziative volte al dialogo e alla mediazione: tra esse permettetemi di citare il Network delle donne mediatrici del Mediterraneo (lanciato nel 2017 in occasione della nostra presenza in Consiglio di sicurezza dell’ONU), l’annuale appuntamento dei med dialogues, dedicato alla regione del Mediterraneo e del Medio Oriente e, da ultimo, vorrei citare il rapporto appena prodotto dall’Agenzia per il peace building su “L’Italia e la mediazione”, pubblicato proprio il mese scorso: questo rapporto evidenzia l’opportunità per il nostro Paese di dedicarsi alla mediazione di pace in modo più strutturato. Su questo stiamo lavorando sempre in costante sinergia con gli attori non governativi e in stretto raccordo con le competenti istituzioni europee.
Concludo questa rapida carrellata tornando al punto di partenza, cioè il ruolo di donne e giovani.
Una consolidata capacità dell’Italia nei settori del peace building e della mediazione internazionale non può prescindere dal riconoscimento di un ruolo attivo e adeguato di donne e giovani nella costruzione della pace; questo anzitutto per ragioni demografiche (pensiamo che nella gran parte dei Paesi in conflitto i giovani sono la maggioranza della popolazione) ma anche perché la partecipazione piena, equa, efficace e sicura di donne, ragazze e giovani ai processi di pace, ai negoziati, alle iniziative di prevenzione e gestione dei conflitti – come sancita dalle risoluzioni capostipiti nn. 1325 del 2000 e 2250 del 2015 del Consiglio di Sicurezza che hanno creato le due agende – rende gli accordi di pace raggiunti più efficaci e più duraturi.
Grazie.