Sen. Borghi
Intanto grazie a voi per questa iniziativa, grazie al collega Massimiliano Romeo per averci coinvolti e penso anch’io che questo formato sia utile, perché troppe volte noi rischiamo attorno a queste tematiche, che sono tematiche esiziali, strutturali ed epocali, di vestirci dell’abito del gioco delle parti o peggio ancora della lettura ideologica a seconda delle convenienze del momento e tutto questo produce assoluta sterilità e invece riuscire a aprire un canale di confronto, che poi diventa un momento di dialogo in un luogo che dovrebbe essere strutturalmente luogo del dialogo, che si chiama Parlamento, se non parliamo qui ,mi chiedo dove dobbiamo parlare ,però parlare significa ascoltarsi, dialogare e confrontarsi, capire quali sono le diverse posizioni in campo e per chi ha delle responsabilità politiche a mio giudizio, c’è un surplus di responsabilità, perché io penso sia giusto, sia doveroso, per molti aspetti sia necessario che le autorità morali ci richiamino al senso delle ragioni della costruzione della pace. Guai se non lo faceste, verreste meno alla vostra natura ontologica. Io penso che il compito della politica però non sia la declamazione fine a sé stessa dell’asserzione in quanto tale, ma sia la costruzione sul piano della storia della declinazione delle ragioni per le quali questa asserzioni vengono concretizzate. Io penso che chi fa politica debba costruire la pace, non debba dire serve la pace, perché per questo si fa in fretta, si fa molto in fretta, bisogna trasferirlo sul piano della concretezza. Per trasferirlo sul piano della concretezza bisogna il più possibile essere convergenti sulla lettura del fenomeno storico, perché diversamente rischiamo di andare fuori traiettoria; ora io penso non ci sia dubbio che, e come dire dal punto di vista della definizione del perimetro etico, mi pare che le quattro parole che il cardinale Parolin ci ha dato qualche minuto fa, riprendendo il magistero dei papi, i quattro punti cardinali : verità, libertà, giustizia e carità, quindi mi pare che su questo è un minimo comune denominatore, non sono parole nuove, ma mi pare che siano gli elementi sui quali costruire una politica, un recinto dentro il quale declinarci. Io credo che noi dobbiamo avere la consapevolezza che, essendo purtroppo la guerra un fatto storico, dobbiamo analizzare le ragioni per le quali questo fatto storico si è realizzato, cioè se vogliamo debellare il virus dobbiamo andare alla radice della scaturigine del virus e penso che una delle motivazioni strutturali sia stato il ritorno nella storia del concetto del nazionalismo in Europa, cioè questa logica serpeggiante pericolosa ,che per due volte nel secolo scorso, ha creato le drammatiche condizioni di due guerre mondiali, è tornata ad albergare nelle nostre latitudini e con essa il ritorno ad alcune logiche che noi pensavamo essere confinate solo sui libri di storia; prima il senatore Magni parlava della Jugoslavia e attorno ai concetti del sangue e del suolo si è consumato il dramma di quella realtà e tornano ad affiorare e su questo, io penso, noi dovremmo essere molto attenti anche dal punto di vista del modo con cui noi leggiamo le nostre dichiarazioni. Alcuni concetti che poi provocano l’innesco di questa situazione, la logica dello spazio vitale, la logica del posto al sole, la logica dello scontro di civiltà sono tutte questioni che di quando in quando riaffiorano all’interno del dibattito culturale, politico, pubblicistico contemporaneo creano il substrato sulla base del quale si generano queste questioni. E’ di tutta evidenza quindi che se stiamo attraversando una forte tensione con la vicenda in Ucraina, ma non solo manca la conoscenza medio orientale, è uno di questi temi, una forte tensione tra la democrazia e le autocrazie e mentre noi qui stiamo parlando a Pyongyang due signori hanno dato la dimostrazione di cosa vuol dire quel modello lì, allora se quella cosa lì è la sfida della politica nel XXI secolo così come la tensione tra mondo libero e mondo comunista fu la sfida della seconda parte del Novecento dopo avere drammaticamente regolato i conti col totalitarismo nazifascista al prezzo che tutti quanti conosciamo, è chiaro che c’è bisogno di un surplus di capacità di iniziativa politica in questa direzione, allora io provo a mettere in fila due proposte molto pratiche: la prima, va fatto capire che la pace conviene più che fare la guerra può sembrare una questione banale da dire, ma la dobbiamo far comprendere e lo sforzo deve essere finalizzato a far comprendere in questo caso a chi ha aggredito, che non gli conviene più andare avanti con la funzione di aggressore, perché diversamente tutto questo genera una situazione di non ritorno; seconda questione: si sta discutendo in queste ore di come suddividere lo spazio, l’equilibrio di ruoli all’interno dell’Unione Europea, io penso che noi dobbiamo premere affinché l’Unione Europea abbia un proprio inviato speciale per l’Ucraina, cioè ci deve essere l’Europa lì non ci devono essere 27 stati che ognuno va a negoziare, poi torna poi qualcuno pensa di ripristinare le dinamiche novecentesche, poi ci giochiamo a fare gli scroll, c’è bisogno che si trovi una personalità indiscussa di alto profilo con capacità negoziale nella quale nel limite del possibile ci sentiamo tutti quanti sintetizzati e questo abbia un pieno mandato da parte del Parlamento Europeo che è stato appena eletto da milioni di cittadini per andare nella direzione di trovare una pace giusta nei termini in cui si è descritto, perché in questo aveva ragione Moshe Dayan ripreso poi da Yitzhak Rabin che per avere detto questa frase c’ha anche lasciato la pelle; la pace si fa soltanto con nemico e Monsignor Zuppi la scorsa settimana in un’occasione al quale ho avuto modo di partecipare ha detto una frase che a mio giudizio è molto convincente cioè “la pace non si fa in due la pace si fa almeno in tre se non di più”, quindi c’è bisogno che lungo questo versante ci sia bisogno di una capacità di assunzione della politica intesa come strumento per l’interpretazione sul piano storico delle declinazioni e delle affermazioni di carattere etico e morale, sapendo e chiudo, che come diceva Monnier la pace non è soltanto l’assenza di guerra, ma è la costruzione delle ragioni di una giustizia sulla base della quale ciascuno pensi che sia per sé molto più conveniente non mettere mano alle armi, ma mettere in mano alle vanghe e su questo lo dico al mio amico Stefano Patuanelli c’è sempre spazio per il recupero della fede; ho scoperto ieri un particolare aneddoto, che vorrei consegnarvi come elemento di speranza: quando Dossetti, mio maestro terribile, decide di lasciare la politica, va da La Pira, che era suo principale ispiratore in qualche misura anche confessore, e gli dice: “guarda io ho provato a immaginare cosa sarà in futuro l’Unione sovietica, ha trovato le formule della bomba atomica, l’Unione Sovietica arriverà prima nello spazio, l’Unione sovietica si svilupperà in maniera forte e io penso che devo ritirarmi, pregare perché è l’unica cosa che io posso fare”. La Pira con una frase, credo bellissima e straordinaria, gli disse:” vedi l’Unione Sovietica non vincerà, perché loro non hanno Dio e noi abbiamo Dio, può valere anche per quelli che non hanno Fede”.