In risposta all’ appello di Avvocatura in Missione anche il Sen Calandrini ha presentato interrogazione parlamentare in tema di terapie domiciliari.

8 Ott 2021 | Covid

Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-05133

Atto n. 4-05133
Pubblicato il 24 marzo 2021, nella seduta n. 307
CALANDRINI – Al Ministro della salute. –
Premesso che:
con l’ordinanza n. 1557/21, il TAR Lazio ha accolto l’istanza cautelare presentata dai medici del
“comitato Cura domiciliare COVID-19” presieduto dall’avvocato Erick Grimaldi e affiancato dalla collega
Valentina Piraino contro il Ministero della salute e l’AIFA per una nota relativa al trattamento
domiciliare dell’infezione da coronavirus;
per i casi lievi, e per quelli solo probabili, durante i primi giorni di malattia l’AIFA ha raccomandato
infatti la sola “vigile attesa” in associazione a trattamenti sintomatici, ad esempio attraverso il
paracetamolo. È stato inoltre indicato il non utilizzo di tutti i farmaci impiegati ormai da mesi, a loro
dire con successo, da molti medici di medicina generale. Una limitazione contro la quale il comitato ha
presentato ricorso, vedendolo accolto;
il contenzioso risale all’inizio del mese di dicembre 2020, quando l’agenzia regolatoria nazionale rese
disponibile sul proprio portale il documento “Principi di gestione dei casi Covid-19 nel setting
domiciliare”, contenente le raccomandazioni “sul trattamento farmacologico domiciliare dei casi lievi e
una panoramica generale delle linee di indirizzo Aifa sulle principali categorie di farmaci utilizzabili in
questo setting”. Per casi lievi, ha specificato l’AIFA, si intendono tutti i pazienti che presentano sintomi
alla stregua di febbre (temperatura superiore ai 37 gradi centigradi), tosse, cefalea, dolori muscolari
(mialgia), diarrea e perdita dell’olfatto (anosmia) e gusto (ageusia) non altrimenti spiegabili. Si è poi
specificato che i pazienti non devono presentare alcun segno di difficoltà respiratorie (dispnea),
disidratazione, alterazione dello stato di coscienza o sepsi. In questi casi, infatti, si sarebbe trattato di
pazienti non lievi;
fatta questa premessa, l’AIFA ha specificato che per tali pazienti “possono essere formulate le seguenti
raccomandazioni generali”: vigile attesa, trattamenti sintomatici, quali il paracetamolo, idratazione e
nutrizione appropriate; non modificare terapie croniche in atto; non utilizzare supplementi vitaminici o
integratori alimentari; non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri
conviventi, per il rischio di diffusione del virus;
può essere considerato un approccio “attendista”, quello dell’agenzia regolatoria, una sorta di “non
protocollo” criticato da molti medici, alla luce dei successi terapeutici conseguiti trattando subito i
sintomi con farmaci adeguati e bloccando così la malattia prima dell’aggravarsi della situazione,
evitando quasi sempre il ricovero;
i giudici amministrativi del Lazio, nella valutazione propria della fase cautelare, hanno ritenuto fondato
il ricorso dei medici del comitato, in relazione alla circostanza che i ricorrenti “fanno valere il proprio
diritto/dovere, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che essi
ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza, e che non può essere compresso nell’ottica di
una attesa, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i
medici stessi”. Da qui l’ordinanza di sospensione con effetto immediato dell’efficacia del protocollo
AIFA, rinviando la trattazione del merito al prossimo 20 luglio;
risulta evidente che il COVID-19 sia una malattia che debba essere affrontata ai primi sintomi nella
propria casa, evitando così in molti casi un peggioramento verso una forma più grave che costringa al
ricovero in ospedale;
sarebbe da stabilire un protocollo nazionale di cura domiciliare e sarebbe necessario che fosse
rafforzata la medicina territoriale, anche attraverso la creazione in ogni Regione delle unità mediche
pubbliche di diagnosi e cura domiciliare del COVID-19 USCA (unità speciali di continuità assistenziale)
previste dalla legge nazionale ma istituite solo in alcune Regioni. Chiaro è che l’epidemia si affronta a
casa prima che in ospedale;
lasciare i pazienti senza cure precoci a domicilio è assolutamente inaccettabile e, alla luce di quanto
esposto, sarebbe necessaria una revisione immediata delle linee guida ministeriali,
si chiede di sapere:

come intenda procedere il Ministro in merito alle linee guida ministeriali afferenti al trattamento
domiciliare dell’infezione da coronavirus e se non ritenga necessario revisionarle, recependo la
richiesta che proviene dalla popolazione che sta lottando contro il COVID-19 e da tanti medici che con
grande professionalità, da mesi, stanno operando a fianco di pazienti, come volontari, per far sì che
possano avere una pronta terapia domiciliare in grado di ridurre i ricoveri ospedalieri;
se non ritenga, oltre a stabilire un protocollo nazionale di cura domiciliare, di disporre un’azione di
rinforzo della medicina territoriale, anche attraverso la creazione in ogni Regione delle USCA, previste
dalla legge nazionale ma istituite solo in alcune Regioni.