Colloqui per la Pace – “Avvocatura in Missione”
Roma, 9 aprile 2025
Onorevoli Senatori,
Signore e signori,
sono molto grato alla Presidente di Avvocatura in Missione, Suor Anna Catenaro, per il suo invito ad introdurre questo incontro. Lo faccio nella veste di Coordinatore Donne, Pace e Sicurezza, Giovani, Pace e Sicurezza e Politiche per la Mediazione presso il MAECI e appassionato multilateralista.
Vorrei iniziare con uno sguardo retrospettivo. Quando nel giugno del 2024 ci siamo riuniti a Palazzo Madama per discutere di pace e mediazione, il mondo era già immerso in una fase complessa. Non parliamo solo dell’aumento numerico dei conflitti armati, che ricordava Mons. Paglia, ma anche di un deterioramento strutturale del sistema multilaterale che per decenni ha garantito, con tutti i suoi limiti, un certo equilibrio attraverso la cooperazione fra Stati, diritto internazionale e la risoluzione pacifica delle controversie. Oggi assistiamo invece a una disarticolazione delle sedi multilaterali: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è sempre più paralizzato dai veti incrociati, le conferenze internazionali troppo spesso si limitano a dichiarazioni simboliche, e le agende condivise, a partire da quella 2030 sullo Sviluppo Sostenibile, rischiano di perdere presa nei confronti delle priorità emergenti.
In parallelo, cresce la tentazione di affidarsi a risposte unilaterali e securitarie, e non stupisce che in questo clima la difesa torni al centro del dibattito politico europeo. Lo si è visto con la Bussola Strategica UE, con l’accelerazione della Strategia Industriale Europea della Difesa e con la proposta, ancora in discussione, di creare un fondo europeo per la produzione comune di armamenti. Sono segnali di un’Europa che cerca di reagire alla nuova insicurezza globale, ma che lo fa, almeno finora, più sul piano militare che su quello preventivo o diplomatico. Eppure, la storia ci insegna che senza strumenti politici per la gestione dei conflitti, anche la difesa più avanzata rischia di essere sterile. È questo il cuore del problema.
Dobbiamo quindi evitare un errore strategico: confondere il riarmo con la sicurezza, e dimenticare che la sicurezza duratura richiede anche infrastrutture di pace, spazi di dialogo, e attori credibili in grado di mediare. Serve una ricostruzione della fiducia nella cooperazione internazionale, e in particolare nella mediazione, come via politica per la prevenzione e la trasformazione dei conflitti.
In questo senso, parlare oggi di mediazione non è un atto astratto: è un atto profondamente realista, perché tiene conto delle dinamiche globali ma propone una risposta alternativa e complementare, che non rinuncia alla difesa ma ne riequilibra il senso. La sicurezza europea, se vuole essere autentica, dovrà essere anche diplomatica, inclusiva e trasformativa.
La situazione internazionale continua a essere estremamente critica. La guerra in Ucraina entra nel suo quarto anno senza che si intraveda una fine. Lo scenario in Medio Oriente è segnato da nuove escalation. In Africa, Sahel e Corno d’Africa in particolare, si susseguono colpi di Stato e instabilità. Il disallineamento fra le istituzioni multilaterali e le dinamiche geopolitiche reali appare sempre più marcato.
Eppure, proprio in questo contesto – paradossalmente – stanno emergendo nuovi spazi per la mediazione. L’assenza di soluzioni militari decisive (ammesso che ne esistano!), l’esaurimento della logica delle sfere di influenza, e una crescente consapevolezza della stanchezza sociale e diplomatica verso i conflitti prolungati, stanno creando le condizioni per il ritorno del dialogo. Fra l’aggressore russo e l’aggredita Ucraina, per esempio, non siamo ancora a una fase negoziale, ma esistono interlocuzioni, discrete e sotterranee, che ci parlano di una possibile transizione diplomatica. Su questo terreno, l’Italia e l’Unione Europea possono giocare un ruolo, e forse possono iniziare a farlo con maggiore determinazione.
Nel frattempo, altri attori si muovono, emergono nuovi protagonisti come Qatar, Cina, Sudafrica e Turchia, che vedono nella mediazione una leva di influenza geopolitica. In questo panorama frammentato ma in fermento, si colloca il nostro impegno per una politica estera italiana che investa con serietà nella mediazione internazionale
E, naturalmente, in tutto questo, le Agende WPS e YPS, basate sulle Risoluzioni 1325 e 2250 del CDS ONU, non sono marginali, sono strumenti strutturali, infatti dare spazio a donne e giovani è utile in quanto sono i processi di pace inclusivi quelli che durano. I dati dicono che dove le donne partecipano, gli accordi sono più efficaci, e dove i giovani sono coinvolti, il rischio di ricaduta nel conflitto si riduce sensibilmente.
Il nostro compito è quindi duplice: da un lato rafforzare la capacità dell’Italia sulla mediazione di pace, dall’altro fare in modo che questa capacità sia rappresentativa, etica, e soprattutto generativa, perché la mediazione non è un’arte neutrale: è un atto politico e umano insieme, che richiede empatia, ascolto e una capacità di visione.
Vorrei proporvi un collegamento con le riflessioni emerse in un precedente incontro tenutosi alla Farnesina lo scorso dicembre, sul concetto espresso dal Santo Padre, apparentemente controintuitivo, di “amore politico” come strumento di diplomazia, intesa profondamente come incontro tra le differenze. Il pensiero di Papa Francesco, con l’enfasi sulla fraternità come categoria politica, ci richiama a un’etica delle relazioni che va oltre la logica del mero interesse nazionale. E ci ricorda che le periferie del mondo, siano esse geografiche o esistenziali, sono il vero banco di prova della nostra coerenza. Il concetto di “diplomazia generativa” ci invita a lavorare non solo per risolvere i conflitti, ma per trasformare le condizioni che li generano.
Ecco allora che la mediazione non è solo una tecnica, ma anche soprattutto una scelta di civiltà, un modo per affermare che il diritto alla pace è un diritto umano, e che la costruzione della pace richiede infrastrutture, formazione, presenza, tempo. E anche una certa umiltà, che spesso nei consessi internazionali scarseggia.
In questa visione si inserisce con forza la nascita e lo sviluppo di una Rete Italiana per la Mediazione Internazionale, un progetto ambizioso che vuole federare competenze pubbliche e private: Farnesina, ONG, università, centri di ricerca, esperti di campo. L’obiettivo è dotare l’Italia di un’infrastruttura stabile e credibile per offrire servizi di mediazione, accompagnamento e facilitazione nei contesti di crisi. Essa rappresenta un primo tentativo strutturato, guidato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, di dare coerenza, visibilità e coordinamento agli sforzi nazionali nel campo della mediazione di pace.
Concludo esprimendo di fronte agli Illustri Parlamentari qui presenti l’auspicio che, anche per mezzo del Gruppo Interparlamentare di recente costituzione, i temi della pace e della sua costruzione attraverso la mediazione e il dialogo diventino sempre più presenti nel dibattito pubblico.
Grazie.