Avv.Anna Egidia Catenaro – Conclusioni
Vorrei ricordare a chi è qui per la prima volta, che “Avvocatura e missione”, come avete già letto, nel piccolo pieghevole, è una Associazione che è sorta a Roma nel ’99 in preparazione del Giubileo. Abbiamo cominciato a Roma con delle conferenze dentro la Corte di Cassazione, nell’Aula degli avvocati, e poi dentro l’Auditorium della Cassa Nazionale forense. Abbiamo notato in questa esperienza che gli avvocati, i magistrati, erano attenti, avevano fame della parola di Dio.
Pertanto, non è vero che l’avvocato è solamente quella persona che corre tutto il giorno. Soprattutto chi ha scelto la professione di avvocato, è una persona che ha una chiamata particolare ad aiutare gli altri, ad ascoltare gli altri, a farsi prossimo, samaritano degli altri. Allora la chiamata di “Avvocatura e missione” è proprio questa: far scoprire a ciascun avvocato, a ciascuna persona che lavora nell’ambito della giustizia la propria chiamata. Se qualcuno nel frattempo nella professione è andato a destra o a sinistra oppure ha avuto degli insegnamenti forse non sempre consoni alla deontologia, all’etica professionale, noi vogliamo proprio riportare questo: che l’avvocato prenda consapevolezza del grande ministero che gli è stato affidato soprattutto dal Signore. Noi abbiamo adesso riflettuto: chi è l’avvocato? O è Gesù che notte e giorno, davanti al Padre, intercede per noi, fa da nostro difensore, oppure è lo Spirito Santo. Già il nome, “avvocato”: ci deve far riflettere,alla luce dell’insegnamento or ora ricevuto, in qualche maniera siamo assimilati a Gesù, allo Spirito Santo.
Quindi dobbiamo svolgere una missione veramente profonda. L’avvocato è colui che deve portare la pace, è colui che deve consolare, è colui che deve amministrare e porre in pratica il diritto e la giustizia. Abbiamo prima letto: «Non permettere che sia lesa da noi la giustizia». Allora, per recuperare tutto quello che l’avvocato è bisogna avere un recupero interno, un rinnovamento interiore.
Questo rinnovamento lo si può avere soltanto con la presenza dello Spirito Santo, invocando continuamente lo Spirito Santo nella nostra professione e nella nostra vita, perché entri, rinnovi, riedifichi, ristrutturi il nostro cuore, perché una volta che noi siamo ristrutturati dentro, saremo in grado di portare la pace, saremo in grado di fare transazioni piuttosto che di fare le cause.
Vediamo i tempi della giustizia … cominci una causa adesso finirà tra 10 anni… arriveremo in Cassazione tra 20 anni. Dov’è la giustizia?
È tra gli avvocati che non pensano al proprio interesse, alla propria parcella, ma mettono veramente l’altro, al primo posto: il cliente. Noi dobbiamo essere prossimi divenire samaritani.
Ma non per questo ci mancherà lo stipendio! Una sola causa che un avvocato fa equivale allo stipendio di un operaio. Rendiamoci conto del privilegio enorme che noi abbiamo avuto nel poter sfruttare la nostra intelligenza, nel poter avere acquisito una preparazione professionale, nell’aver ottenuto una, due, a volte tre lauree. Ciascuno di noi magari ha delle specializzazioni. Abbiamo avuto questo dono incredibile, ma se questi doni non vengono riportati a servizio degli altri, è semplicemente un impossessamento che noi ne facciamo e non produrrà frutto se non produrre semplicemente il nostro conto in banca, ma quello purtroppo non lo porteremo insieme con noi. Noi porteremo davanti al Signore le nostre opere, la nostra fede, il nostro operare, il nostro essere avvocato nel vero senso etimologico della parola, che non è quello che purtroppo a volte non è più considerato da nessuno.
Da bambina, avevo questa immagine: che dagli avvocati andavano a portare per Natale o Pasqua dei doni, un capretto, una gallina… prima c’era la fame, 40-50 anni fa, ed era un grande senso di rispetto e di riverenza verso l’avvocato. Adesso a noi avvocati se ci arriva un cestino di cioccolatini, è già tanto.
Non c’è più rispetto, siamo dequalificati, perché abbiamo perso la nostra eticità, abbiamo perso quello che noi siamo veramente.
Dobbiamo riscoprire la nostra chiamata, e per fare questo possiamo farlo soltanto alla luce dello Spirito, cominciando a rientrare in noi stessi.
Io ricordo che sentii questa ispirazione di cominciare a organizzare conferenze dentro questi luoghi laici, dentro i tribunali, perché qui è più difficile che possa accedere un sacerdote. Oggi perché lo abbiamo invitato noi, altrimenti un sacerdote non sarebbe neanche salutato se fosse stato incontrato su per le scale. Siamo noi che possiamo portare agli altri, ai giuristi, la parola, il nome di Gesù. Noi possiamo sedere a tavolino con un giudice e mentre parliamo – come è successo a me – di pratiche, parli anche che sei andata Lourdes, e parli dello Spirito Santo e parli di Gesù.
Siamo noi che abbiamo questa responsabilità. Noi siamo cristiani, non possiamo essere soltanto battezzati sulla carta, ma far sì che questo battesimo, cioè questo Spirito Santo che abbiamo ricevuto con il battesimo, produca frutto. I cristiani sono in vita perché debbono fare altri cristiani. Cioè la nostra missione è quella di evangelizzare, di annunciare la salvezza. Questo è il progetto della nostra vita: diventare santi e far sì che altri siano santi.
Questa è la chiamata alla santità, che è rivolta non soltanto a quelli che sono già sugli altari, non è rivolta soltanto ai sacerdoti e ai vescovi, è rivolta a tutti.
La chiamata della santità è per tutti.
A maggior ragione per noi che viviamo in un contesto difficile dove la giustizia… io dico sempre noi uomini e donne del diritto abbiamo le redini in mano, il potere del mondo è nelle mani di chi pratica la giustizia, di chi produce le leggi, quindi di legislatori, governanti, politici. Questi sono i nostri colleghi, provengono dagli studi universitari di giurisprudenza. La maggior parte, il 90%, sono i nostri colleghi. Noi dominiamo la società: rendiamoci conto della grande responsabilità che ciascuno di noi ha. Ciascuno di noi non deve tenere semplicemente alla propria poltrona, allo studio megagalattico, agli strapaganti clienti, a portar via i clienti a un altro collega. La nostra missione è quella di santificarci e di santificare, aiutare gli altri a trovare Gesù, a trovare la salvezza. Questa è la nostra missione: essere avvocato, magistrato è uno strumento per la nostra santificazione e per la santificazione degli altri.
Cominciamo a pensare dentro queste categorie – e allora veramente troveremo la nostra pace e daremo pace al mondo, perché l’avvocato è una professione di pace che ha per oggetto accordi che pacificano la vita, è la professione che aiuta gli uomini a vedere riappacificati i propri interessi, i propri diritti. Facciamo questo noi nelle aule dei tribunali? O cerchiamo i mezzucci per arrivare prima della controparte, per verificare se la controparte si è dimenticata una firma, una cosa…Cosa facciamo noi nelle aule dei Tribunali? Cerchiamo veramente la giustizia, o cerchiamo di far vincere il cliente a tutti i costi, passando sopra a tutti i cadaveri, anche quelli dei nostri colleghi, non rispettando mai la deontologia professionale, non telefonando al collega avvisandolo di una cosa, operando delle scorrettezze. Noi le sappiamo queste cose, perché sono il nostro pane purtroppo quotidiano: la scorrettezza professionale. Ed allora per recuperare, per uscire fuori da tutto questo bisogna recuperare il nostro ruolo interiore. Paolo diceva: non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me.
A Roma siamo 20.000 avvocati, qui a Napoli saremo 15.000… ma se 10.000 avvocati sono Gesù che vivono e girano per i Tribunali, ci dovrebbe essere per forza la giustizia. Non ci sarebbero neanche più le cause. Non è detto che per questo moriremmo di fame. Avremo modo ugualmente, come diceva anche S. Francesco riprendendo un passo biblico: Non ci preoccupiamo di quello che mangeremo. I gigli hanno dei vestiti che sono più belli dei vestiti di Salomone … le rondini, i passeri mangiano…
Noi invece siamo sempre preoccupati a fregare il cliente all’altro, ad accaparrare assolutamente quella sentenza… l’idolatria, il primo peccato più grande è proprio l’idolatria: «Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me». Mettere qualcun altro al posto di Dio: quando noi al posto di Dio mettiamo il denaro, la poltrona, il potere, abbiamo tolto Dio e ci abbiamo messo qualcos’altro. Lì non troveremo mai la pace, né dentro di noi, né riusciremo a darla e a recuperare questa missione.
Quindi il problema è nel cuore dell’uomo. L’uomo che non ha incontrato Dio, che non ha avuto un’esperienza viva della sua esistenza, si incarna in quell’avvocato spento che va in udienza, vediamo i volti di quelli che ci circondano, e che usa il mezzucci per vincere la causa, o ancora peggio quello che si camuffa con buone maniere ed è in compromesso col giudice, con la controparte, ed in quello in cui il grado di disperazione interiore è talmente elevato che riempie la vita di impegni, di macchine, di falsi interessi, di denaro di donne. E queste cose noi le vediamo.
Cristo rifiutato e reietto, uomo dei dolori che è stato allora, 2.000 anni fa, e lo è adesso, quando l’avvocato calpesta, nelle aule dei Tribunali, i diritti degli indifesi, degli orfani, degli innocenti, degli ultimi della società.
Voglio concludere con questo: quanto bene può fare l’avvocato se solo ritrovasse il suo cuore, se solo lasciasse vivere dentro il suo cuore Colui che è la sapienza, la scienza, la conoscenza, l’intelligenza, il consiglio, il tutto: Dio.