Data invio: mercoledì 23 gennaio 2002 18.26
All’Equipe di Avvocatura in missione,
da tempo avevo in animo di inviarvi un messaggio per sottolineare, con l’aiuto di un minimo segnale concreto, l’importanza degli incontri che siete riusciti a realizzare nel palazzo di giustizia di Piazza Cavour, ed in particolare di quello sull’argomento Alfonso Maria De Liguori, Avvocato, Santo.
Certo vi sarete accorti che sono stati in molti quelli che, frequentando da anni e anni, come me, le aule della Cassazione, entrati per caso o per curiosità nella sala dell’Ordine, hanno percepito come evento singolare la vista della Croce astile collocata, per la prima volta nella storia dell’edificio, accanto al bancone dove, solitamente, siede la corte.
Alcuni, sorpresi o contrariati, sono usciti subito, altri si sono fermati, pur rimanendo indifferenti, altri, profondamente emozionati, hanno gioito di quella presenza che, silenziosamente, riconquistava il suo posto naturale.
Io ero, com’è ovvio, tra questi e, mentre ascoltavo, pensavo come quell’inatteso momento di concentrazione e memoria fosse stato capace di ridare significato e slancio al mio lavoro professionale, svolto sempre con dedizione immutata ma, ormai, leggermente appannato dall’abitudine e da un inevitabile calo d’entusiasmo.<>
Di Sant’Alfonso de’ Liguori sapevo a stento che era un giurista napoletano e che lui, molto probabilmente, aveva composto la prima pastorale natalizia, quel “Quando nascette o’ ninno a la capanna”, origine del notissimo “Tu scendi dalla stelle”, e basta.
Sentire rievocare la sua opera, di difensore ardente della giustizia nella più totale carità, mi ha ridato forza. E si è rinsaldato il mio convincimento che ogni operatore del diritto, che si dichiara cattolico, deve sentirsi personalmente chiamato a testimoniare la propria fede anche nell’esercizio quotidiano dell’attività legale, nella condotta forense, nei rapporti con clienti ed avversari, specie in un momento storico segnato da forti contrasti sulla giustizia, con un’opinione pubblica propensa a considerarla sostanzialmente inaffidabile.
In questo mese di gennaio, neppure interamente trascorso, il tempo liturgico è ancora così vicino al Natale che sulla grotta di Betlemme sembra appena apparsa la stella, con la sua promessa di pace. L’augurio contenuto in tale promessa invita però ad un agire difficile, perché il dono della pace è riservato, secondo la corretta lettura del testo evangelico, solo a quegli uomini che vogliono il bene.
Per noi giuristi, coerenti con la scelta di lavoro che abbiamo fatto, questa volontà di bene non può dunque avere altro significato che vivere e proporci sempre come strumenti di pace. Se infatti, e lo ha sottolineato il Santo Padre, non può aversi pace senza giustizia, per noi la vera essenza della giustizia consiste nella capacità di prevenire o comporre imparzialmente i conflitti.
Consapevoli di questa verità, dovremmo forse rivedere il nostro modo di essere avvocati, privilegiando, pur nel più scrupoloso svolgimento del compito di difensore che ci compete, il favorire la ricerca della concordia, il non esasperare la litigiosità, il collaborare con le nostre controparti per semplificare la via di possibili conciliazioni, l’assistere con medesima assiduità e dispendio di uguali energie ogni cliente, anche quello che la parrocchia o un’istituzione benefica ha affidato alla nostra carità, in modo che quel Crocefisso che comunque, esposto e visibile in aula o semplicemente portato nel cuore, ci accompagna ogni giorno nei Tribunali, non debba sentirsi costantemente tradito anche da noi.
Avv. Lidia Ciabattini