Abbiamo un Avvocato presso il Padre

23 Nov 2009 | Riflessioni

Abbiamo un Avvocato presso il Padre – Relatore: Don Dario Vitali

Il termine greco con il quale si traduce la parola avvocato e Paraclito – termine solitamente riferito allo Spirito Santo. Tuttavia il nostro Avvocato presso il Padre non è propriamente lo Spirito Santo ma Gesù Cristo, giusto, il quale dona la salvezza ed intercede per noi. Naturalmente, il titolo della relazione e una provocazione che serve per parlare di un altro termine particolare che riveste un ruolo importante all’interno della Sacra Scrittura e di tutta la letteratura antica:
Parresia (dal greco parrhsia) ovvero la Parola nella potenza dello Spirito Santo.

Ho scelto di riflettere su questo tema non solo perchè e stato oggetto del mio ultimo lavoro ma anche perchè ritengo che possa essere importante nella vita di chi come me ha scelto di dedicarsi al sacerdozio e di chi come voi lavora nell’ambito della giustizia. Infatti, la parola Parresia indica fondamentalmente la franchezza; e legata alla verità, alla libertà della parola ed alla capacità di dire la verità secondo quella originaria e fondamentale disposizione che proviene dallo Spirito di verità, il quale introduce alla Parola di verità. Quanto sinora detto ha sicuramente un riferimento alla proclamazione della Parola di Dio, ma può riferirsi anche alla proclamazione della parola in genere, e siccome vi trovate di frequente a dover assumere la parola, riflettere su questo argomento può essere indubbiamente molto significativo per procedere ad una verifica della vostra professione e della vostra vita. Queste considerazioni prendono le mosse da un’esperienza da me vissuta molti anni fa in occasione di una settimana di esercizi spirituali. In quel contesto, infatti, incontrai un padre gesuita convertito dall’ebraismo il quale mi esorto a diventare grande in breve tempo per sopperire all’esigenza di avere preti maturi e mi raccomando di avere molta Parresia nella mia vita di prete. In realtà, anche se ancora fresco di studi, non ricordavo il significato della parola che mi era stata detta e dunque chiesi al mio interlocutore che cosa volesse dire Parresia e lui mi rispose: “Franchezza, franchezza, franchezza!”.In seguito verificai personalmente il significato di tale parola e scoprii che essa era utilizzata già in Omero, riferita ad Achille. Nella Grecia antica il termine Parresia e, poi, strettamente correlato alla democrazia (Parresia in senso politico): esso e espressione tipica del diritto di parola, della libertà di parola di ogni cittadino che faccia parte della famosa democrazia ateniese. 

Volendo attualizzare tale concetto, applicandolo alla nostra vita, si puo dire che in virtu di esso ciascuno di noi e chiamato ad esercitare responsabilmente il proprio diritto di parola, vigilando sull’esercizio di tale diritto. Per arrivare alla elaborazione del concetto Parresia in senso morale, dobbiamo attendere il periodo di Filippo e di Alessandro Magno: e questo il tempo del filosofo che si ritrova in una situazione di libertà e di libertà interiore, quella di dire sempre la verità di fronte a tutti, anche di fronte al tiranno. Esempio tipico di questo modo di vivere la Parresia e quello di Diogene il cinico. Il passaggio dalla Parresia in senso morale alla Parresia che ritroviamo citata nella Bibbia avviene attraverso una via abbastanza particolare: quella di Giuseppe Flavio e di Filone alessandrino. 

Quest’ultimo entra in contatto con la filosofia greca e prova a dimostrare come la vera sapienza non sia quella del filosofo ma quella del giusto, non quella del sapiente secondo la cultura di questo mondo ma quella del sapiente secondo Dio, cioè di colui che ascolta e vive la Parola di Dio facendone il punto di riferimento fondamentale della propria vita. Costui e talmente libero che ha la capacità e la forza di stare non soltanto davanti al tiranno per  dire la verità ma addirittura di stare davanti a Dio, al Re dei Re.

Nel Nuovo Testamento l’utilizzo del termine Parresia lo ritroviamo negli Atti degli Apostoli e nella letteratura giovannea. Negli Atti degli Apostoli sono gli apostoli stessi che hanno Parresia, che hanno franchezza, che annunciano la Parola senza alcun timore. Nella letteratura giovannea e, invece, Gesù che viene presentato come colui che si muove en Parresia, che si muove nella libertà. Se guardiamo alla figura di Gesù prendendo come punto di riferimento il concetto di Parresia, constatiamo che Gesù e continuamente in cammino, e in cammino verso Gerusalemme, si muove a salvaguardia della propria libertà per realizzare il progetto sommo: fare la volontà del Padre, ossia, garantire la propria libertà e donare libertà agli altri. Un registro di tale genere ritengo debba essere di grande interesse per persone che fanno il vostro lavoro. Pensate alla descrizione che San Giovanni fa, nel capitolo VII del suo Vangelo, del cammino di Gesù verso Gerusalemme. Gesù si trova in Giudea con i suoi discepoli e si è prossimi alla celebrazione della Pasqua. Gesù sa che la Pasqua rappresenterà per lui un passaggio di fondamentale importanza, sa che in quel suo recarsi verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua si compirà la volonta del Padre. Quando i suoi discepoli lo invitano ad andare insieme a Gerusalemme lui li esorta a partire ed in seguito, da solo, en Parresia, si incammina per raggiungerli.

Con questo suo comportamento Gesù ci indica la via: egli e talmente libero da ogni vincolo da decidere in autonomia senza farsi condizionare dai discepoli, dai parenti, dalla folla, dal potere politico, da coloro che vorrebbero dargli un ruolo. Egli e libero persino dalla madre; dirà: “Chi e mia madre, chi sono i miei fratelli? Chi ascolta la Parola del Padre mio e la mette in pratica, costui e per me fratello, padre, madre”. Gesu ci offre un modello ed una misura di libertà alla quale ognuno di noi e chiamato a conformarsi nella vita di ogni giorno, nel lavoro, negli affetti. Lui per primo ascolta la parola del Padre e la mette in pratica, in un atteggiamento di obbedienza. Certo e strano pensare a questo connubio tra libertà da tutto e da tutti ed obbedienza al Padre.

Gesù si trova in una situazione che per certi aspetti è distruttiva: questa libertà lo porta alla soglia della passione e lui di questo e pienamente consapevole. Gesù si trova di fronte ad un aut aut: tutto quello per cui ha lottato gli si sbriciola in mano; tutto ciò per cui lui ha speso la sua esistenza – l’annuncio del Regno di Dio – gli viene sottratto.

Gesu è colui il quale, di fronte alla morte che gli si para davanti, può dire al Padre, con una familiarità inusitata e scandalosa per il tempo, Abbà – Papà; ma è anche colui che e venuto per instaurare il Regno di Dio e, di fatto, con la morte non instaura il Regno di Dio. Tutta la sua missione si va a configurare sotto la categoria del fallimento.

Gesù è in questo senso il più grande e il più perfetto fallito del mondo! Lui avrebbe potuto dire liberamente a Dio: “Tu mi hai mandato ad instaurare il Tuo Regno e adesso la morte dell’inviato impedisce l’instaurazione di questo Regno”. Ma Gesù ha fatto tutto questo nella fede, si è disposto nell’atteggiamento del giusto che crede nella Parola di Dio.

Il giusto dell’Antico Testamento trova in Gesù il suo più perfetto adempimento, il suo più perfetto esponente. Ma Gesù e anche l’ultimo giusto, colui che da un senso e spiega i giusti che lo hanno preceduto. In questa sua giustizia egli e colui che si fida totalmente di Dio al punto di credere che il Regno di Dio si instaurerà nonostante la morte del Messia.

Questo è il punto di passaggio che ci permette di arrivare a noi. Gesù ci insegna che nella volontà di Dio si compie esattamente la salvezza. A questo proposito pensate al famoso Inno contenuto nella Lettera ai Filippesi, capitolo II. In questo Inno si evidenzia che colui che è stato  obbediente sino alla morte, ed alla morte di croce, è stato per ciò stesso esaltato, proprio in virtù di questa obbedienza totale, nella quale non c’è presenza di qualsivoglia forma di resistenza alla volontà del Padre. Il problema vero dell’uomo e che nella sua individualità e nella sua ricerca di libertà egli può porsi contro Dio o di fronte a Dio, ossia in relazione con il Padre. Gesù il Nazzareno e colui che non ha mai voltato le spalle a Dio, neppure nel momento della morte. E’ vero che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo, ma e anche vero che egli è uomo e che, dunque, nella sua libertà di uomo, avrebbe potuto ribellarsi di fronte al dolore ed alla morte, avrebbe potuto voltare le spalle a Dio, ma non lo ha fatto.

Egli ha liberamente scelto di essere innalzato sulla croce, e questo essere innalzato non era sicuramente un pregio, una vittoria, un motivo di vanto di fronte agli uomini, ma un essere innalzato di fronte a Dio, agli occhi di Dio. In questo sta l’obbedienza di Gesù! Egli, il giusto, e colui che sta nella giustizia di fronte a Dio, e colui che in punto di morte dice: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito! “. Si potrebbe obiettare che e anche colui che dice: “Dio mio, Dio mio, perche mi hai abbandonato? “, ma occorre rammentare che e abitudine tipica degli ebrei citare un versetto del salmo per intendere tutto il salmo ed alla luce di questa notazione si comprende realmente il motivo per il quale Gesù abbia intonato il salmo 21: esso e tutto un inno di benedizione a Dio, e celebrazione della speranza!

Se si ripercorre la vita di Gesù prendendo come punti di riferimento le tappe essenziali della stessa – vale a dire: il battesimo di Gesù nel Giordano, la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor e la crocifissione di Gesù – si constata che in ognuno di questi momenti fondamentali il Padre si e rivolto agli uomini dicendo:” Questi e il mio Figlio prediletto, in lui mi sono compiaciuto: ascoltatelo! ” A ben vedere, il momento nel quale il Padre si e maggiormente compiaciuto del Figlio e stato quello della crocifissione, non certo perche Dio abbia avuto piacere della morte del suo Figlio prediletto, ma perchè in tale momento il Figlio ha dato prova del suo completo abbandono al Padre, mostrandosi obbediente sino alla morte.

Peraltro, a tal proposito e importante ricordare che in greco la parola paidos significa figlio, schiavo, bambino che deve imparare. Dunque, in questa condizione del Figlio obbediente al Padre si viene a creare il terreno fertile che consente al Padre di fare di Gesù il luogo, il principio, l’inizio, la condizione, lo strumento di salvezza dell’intera umanità. Dio da a Gesù una nuova vita, lo rende principio di una nuova vita, il Figlio che siede alla destra del Padre non e più il Figlio solo Dio, quale era prima dell’incarnazione, ma e il Figlio vero Dio e vero Uomo, colui che dona lo Spirito Santo, il quale, poi, configura al Figlio di Dio, dona la vita dei figli di Dio e dona la libertà dei figli di Dio.


Il credente e posto nella condizione di essere fatto figlio libero come il Figlio. Colui che era l’Unigenito diventa il Primogenito e, quindi, il credente può stare alla presenza di Dio in libertà, per se e per gli altri, perchè accanto a se ha sempre un Avvocato presso il Padre, Cristo giusto, il quale ci conosce al punto tale da vedere i nostri errori e le nostre intenzioni e ci giustifica, con una giustificazione che non ci lascia come eravamo prima ma ci trasforma rendendoci figli liberi.

Quindi il credente è colui che è chiamato a vivere questa libertà.

L’ultimo passaggio e dato dalla necessita per il credente giustificato di testimoniare la salvezza ricevuta: egli, infatti, innalzato alla dignità dei figli di Dio, non può tenere per se questo dono perchè diventa forte in lui il bisogno di annunciare ai fratelli questa sua nuova condizione.

Dunque, ciascuno di noi e chiamato a fare questo: essere testimone di questa grazia, essere testimone di questa verità. In che termini; innanzitutto, attraverso la ricerca della libertà interiore e poi nella proclamazione di quella Parola che diventa parola vissuta.

A conclusione di questo nostro incontro, desidero lasciarvi una testimonianza di come, nella realtà, possa essere vissuta la Parresia, indicandovi tre testi densi di significato.

Il primo testo e un prefazio del quinto secolo che cosi recita:

 “Signore, per tuo volere ogni nostro progresso visibile dipende da quello che abbiamo dentro, nessun male può colpirci dal di fuori se sappiamo controllare il nostro intimo, nessuna disfatta può umiliarci se sappiamo vincere l’orgoglio, niente può turbare la nostra vita se le nostre intenzioni sono sincere, nessun nemico può sottometterci se abbiamo la pace dentro di noi, noi siamo i primi responsabili dei nostri errori e delle nostre sconfitte, tutte le difficoltà spariscono se prima sappiamo guidare noi stessi”.

Il secondo testo e di un poeta, Charles Beguin, il quale, descrivendo le tre virtù teologali, fa dire a Dio: “Le tre virtù mie creature sono esse stesse come le mie altre creature della razza degli uomini. La Fede e una sposa fedele.

La Carità è una madre, una madre ardente piena di cuore, una sorella maggiore che è come una madre.
 

La Speranza, invece, è una bambina da nulla che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso. Eppure è questa bambina che attraverserà  i mondi, questa bambina da nulla, lei sola portando le altre, che attraverserà i mondi compiuti. Come la stella ha guidato i tre Re fin dal fondo dell’Oriente verso la culla di mio Figlio, cosi, una fiamma tremante, lei sola guiderà le Virtù ai mondi. La piccola Speranza avanza tra le due sorelle grandi e non si nota neanche sulla via della salvezza, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada tra le due sorelle grandi, la piccola Speranza avanza tra le due sorelle grandi, quella che è sposata e quella che è madre. E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle grandi, la prima e l’ultima, e non vede quasi quella che e in mezzo, la piccola, quella che va ancora a scuola e che cammina persa nelle gonne delle sue sorelle e crede volentieri che siano le due grandi che tirano la piccola per mano in mezzo tra loro due per farle fare quella strada accidentata della salvezza. Ciechi che sono, che non vedono invece che e lei, nel mezzo, che si tira dietro le due sorelle grandi”.

E’ un poema straordinariamente bello che pone nella giusta luce la speranza.

Solo alla condizione della speranza e possibile camminare verso una situazione di giustizia, perchè il credente e chiamato a costruire un mondo dove regni la giustizia e la pace, nell’attesa di quella giustizia e di quella pace che non avranno mai fine.

Dunque, bisogna avere il coraggio di parlare, proprio come e dimostrato dall’episodio che ora vi descriverò.

Nel 1111 d.C. Enrico V scende a Roma e tenta con Pasquale II di risolvere il problema delle investiture. I Vescovi tedeschi si rifiutano di riconsegnare i loro privilegi e si innesca cosi una vera e propria lotta. A ponte Milvio il Papa viene catturato e portato a Sutri, dove in seguito, firmato l’accordo chiamato Privilegium, ma definito pravilegio, perchè il Papa, messo in carcere, e costretto a concedere quello che mai avrebbe voluto concedere e che di fatto toglie la libertas ecclesiae. Bruno, vescovo ed abate di Montecassino, si rivolge al Papa in questi termini:

“A Pasquale, pontefice, grande signore e padre, Bruno peccatore, vescovo, servo del beato Benedetto. I miei nemici dicono che io non ti amo e che sparlo di te. Mentono. Io, infatti, ti amo come devo amare un padre e un signore e, te vivente, non voglio avere altro pontefice come insieme a molti altri ti ho promesso. Ascolto pero il Signore nostro che mi dice:
“Chi ama il padre e la madre piu di me non e degno di me”. Donde anche l’apostolo dice: “Se qualcuno non ama il Signore sia anatema, maranatha”.

Devo, dunque, amare te, ma piu ancora devo amare colui che ha fatto te e me. Niente mai deve essere preferito a questo grande amore; per cui io non lodo quel fatto cosi vergognoso, cosi violento, fatto con tanto tradimento e cosi contrario ad ogni pietà e religione, e neppure tu – come ho inteso dire da molti. Chi infatti potrebbe lodarlo? In esso viene violata la fede, la Chiesa perde la libertà, viene soppresso il sacerdozio, viene chiusa l’unica e singolare porta della Chiesa, vengono aperte molte altre porte per le quali chi entra e ladro ed e assassino. Abbiamo i canoni, abbiamo le costituzioni dei Santi Padri dagli apostoli sino a te.

Bisogna camminare per la via regia e da essa non deviare in alcuna parte. Dunque, padre venerabile, conferma di nuovo questa costituzione tua e degli apostoli, predicala apertamente a tutti gli ascoltatori nella tua chiesa, che per noi e a capo delle chiese, e condanna con l’autorità ecclesiastica questa eresia e subito vedrai tutta la Chiesa riappacificarsi con te, subito vedrai tutti affluire ai tuoi piedi e con grande gioia obbedire a te come a padre e a signore.

Abbi pietà della Chiesa di Dio, abbi pietà della Chiesa di Cristo, abbi pietà della sposa di Cristo, e per mezzo della tua prudenza recuperi la libertà che poco fa per te ha perduto. Io, poi, faccio poco conto di quell’obbligo e di quel giuramento di cui abbiamo parlato sopra, ne per la violazione di quel giuramento ti sarò mai meno obbediente”.