Da piazza S. Pietro le emozioni di uno di noi

15 Nov 2009 | Riflessioni

Carissima,
come hai immaginato ieri siamo letteralmente scappati in Piazza San Pietro, a proposito, avresti dovuto vedere come corrono le suore: lo svolazzare dei loro veli, era uno spettacolo nello spettacolo, e questo per tacere dei loro goffi modi di correre. Qualcuna osava, addirittura, tirare su la sottana.
Avevo in preventivo di andare in Piazza verso le 19, ossia uscire da casa alle 18 (la mattina avevo già visto la fumata nera) quanto Rosanna alle 17, era rientrata da poco da scuola, irrompeva come una furia nello studio urlando è bianca, fumata bianca.
Anch’io con voce un po’ alta le dico, il tempo di salvare il lavoro e di
mettermi le scarpe e andiamo con la metro fino a Ottaviano; è l’unico modo per arrivare e poter entrare in piazza, sono le parole con cui vinco il suo voler andare totalmente a piedi.
All’inizio, quando aveva aperto la porta, stavo per risponderle male:
pensavo che, mi avvertiva per tempo che alle 18 dovevamo uscire.
Entriamo in piazza che il camino ancora emette qualche sbuffo ed il
“campanone” inizia a suonare; è la seconda volta in vita mia che entro in
Piazza San Pietro al suono gioioso delle campane: la prima volta il 25
dicembre 1959 (quando mi battezzarono) entrai in braccio a mio padre mentre Papa Giovanni XXIII mandava la sua benedizione, oggi la seconda.
Troviamo un posto vicino ad una transenna per non subire troppo l’effetto sardina ed iniziamo ad attendere l’apertura della loggia delle benedizioni.
L’emozione è palpabile; l’emozione che provo è intensa come quella che provi

quando sai che di li a poco, nel concerto, suoneranno la canzone che preferisci, canzone che conosci a memoria, eppure
sai che quell’ascolto che verrà sarà come la prima volta.
Ebbene l’attesa del habemus è così, un’emozione che sempre più mi attanaglia e mi fa stringere sempre più a Rosanna sia per comunicargliela sia per proteggerla dalla folla che, sempre più numerosa, arriva.
Quello che mi dispiace è di aver pregato solo dentro di me e di non aver avuto il coraggio di farlo a voce alta.
Finalmente le tende si scostano, tutti i cardinali si affacciano sui balconi laterali alla loggia, almeno i due agibili, mentre da quello alla destra, che non si può aprire, si scorgono solo delle teste con i colori cardinalizi.
Vi è un po’ di delusione quando Benedetto XVI non si sporge ma rimane compassato al centro del balcone; vi è una scienza che studia i rapporti fra la postura umana e l’atteggiamento interiore. Ratzinger è sicuramente in posizione di chiusura verso la folla, lo denotano le mani incrociate avanti a se; non si offre, non si abbandona come Giovanni Paolo II alla folla: ricordiamo tutti il suo appoggiarsi alla loggia ed il suo spostare il busto oltre la balaustra, chiaro segno di abbandonarsi alla gente, chiaro segno di volere essere concretamente il servo dei servi.
Ratzinger no! Più lo osservo, però, e più mi rendo conto che non è arroganza ma timidezza, choc, emozione, riservatezza. Ma l’amore che sta trasmettendo, che sta cercando di trasmettere, è il medesimo del suo magno predecessore.
Non sono addentro al cerimoniale, ma Benedetto XVI fa un dono immediato a tutti, se le mie reminiscenze di latino non mi hanno abbandonato, accanto alla benedizione ci ha donato una indulgenza piena; come primo gesto di amore il donare il paradiso non mi sembra poco.
Purtroppo la Piazza non lo capisce, il suo “passiamo alla benedizione” viene frainteso, molti iniziano ad abbandonare San Pietro. In questo abbandono è e sarà il nocciolo della sua missione: far ritornare la gente in chiesa.
Dei centomila che affollavano la piazza, infatti, solo pochi erano consapevoli che vi si svolgeva un rito sacro: il popolo di Dio, le innumerevoli chiese di Dio (ognuno di noi è chiesa), omaggiavano l’Uomo che lo Spirito Santo aveva scelto affinché guidasse il cattolicesimo. Una cerimonia in cui si gridava “bentornato” al Signore che tornava nuovamente
in un suo servo.
Pochi sono entrati con questo spirito in San Pietro. Ora dovrà lavorare e far capire che il nostro io/chiesa, in cui ospitiamo Dio, deve rafforzarsi nelle Chiese/Casa di Dio, ove possiamo essere ospiti del Signore.
Ai “papa boy” Giovanni Paolo II ha dato “le caramelle” per avvicinarli alla preghiera, starà a Benedetto XVI non sprecare questo patrimonio ed insegnare loro a pregare ed accettare Dio soprattutto nel silenzio di una delle sue
tante case, ma senza che ciò debba significare mestizia o tristezza.
La folla si aspettava tutt’altro, forse qualche battuta, qualche barzelletta, non so . So solo che chi è andato via, chi è uscito insoddisfatto, come da una piece teatrale, si è perso il primo abbraccio carico di amore di un umile vignaiolo che, come tutti i migliori contadini, avrà sicuramente un cervello fino e che produrrà un nettare superiore a
tutti.

Alfredo Iorio